PALERMO. È già il nome stesso ad esprimerlo. Il solo pronunciarlo ti mette serenità addosso e ti proietta idealmente verso un’atmosfera di relax emozionale. Perché, davvero, quando entri percepisci a pelle che stai per essere coccolato e stai per vivere una intrigante esperienza sensoriale.
Armonia ed accoglienza
Stiamo parlando del ristorante Quattro Venti Comfort Food di via Enrico Albanese a Palermo. Un concentrato architettonico di stile ed armonia che viene corroborato da cordialità ed accoglienza di Gabriele Amato e Filippo Ventimiglia, i due soci: il primo sommelier e responsabile di sala; il secondo chef con l’amabile “vizietto” di andare tra i commensali a spiegare i suoi piatti così come Gabriele.
Entrambi affabili, cortesi, empatici: già solamente questo varrebbe il “prezzo del biglietto”. L’accoglienza è ovunque da sempre la migliore presentazione di se stessi.
Lo stile del locale è sobrio, ma molto elegante. Circa 45 i coperti. Minimal e curato al tempo stesso. La cucina è prettamente tradizionale e non disdegna contaminazioni al di fuori dei confini regionali, talvolta giocando a rievocare i must degli anni ’80. La filosofia è anche quella di coinvolgere tutti i piatti forti tipici nazionali e accomodarli alla tradizione siciliana «Come, ad esempio, la Cacio e Pepe, tipica romanesca, noi la facciamo col pecorino siciliano – dice Gabriele Amato – e aggiungiamo sopra una spolverata di bottarga di tonno». E proprio il giorno del solstizio ha debuttato il nuovo menù estivo.
Carta dei vini a chiaro stampo regionale, che abbraccia più o meno in egual misura le zone dei tre Valli, con qualche richiamo di altre regioni. Angolo pre-dinner e bancone bar in perfetto stile misurato, mentre all’ingresso dominano tra le pareti alcune opere d’arte accortamente “colpite” dalle luci dei faretti.
“Comfort Food” uguale consolazione
Il nome è un retaggio di un’antica zona della città vicino al mare, tant’è che oggi Molo Quattroventi è la zona di porto che ricorda proprio quell’area. Comfort Food, invece, perché il cibo uguale consolazione. Il piatto che riecheggia il tempo che non c’è più, felicemente concluso, trascorso, col quale coccolarsi e gratificarsi. Un pretesto per un tuffo all’indietro, un’ispirazione da cui poter guardare avanti. Ecco perché l’occhio alla tradizione, unito alla meticolosa attenzione per le materie prime, a cui il resident chef appone la sua griffe.
Un lungo giro, poi la sua amata Palermo
Filippo Ventimiglia nasce circa 36 anni fa. Dopo gli studi all’alberghiero “Borsellino”, intriso di passione per la cucina, comincia il suo training tra i ristoranti di Lipari e Palermo. Poi, finalmente il salto: due anni come capo partita al “Griffi Palace” di Venezia. Incarico che gli permette di rientrare nella sua città dalla porta principale, entrando come capo partita e gestore dello stellato Bye Bye Blues.
E da lì l’attualità: l’avventura con Gabriele Amato, sommelier, con cui apre il Quattroventi in cui vige il mood dello stare bene a tavola, con pochi ingredienti che siano di alta qualità ed esaltati al meglio. Oggi la cucina di Filippo è quella “dei ricordi” e “dei sapori dell’infanzia”, inquadrata in una contemporaneità che non dà spazio a fronzoli né ad orpelli superflui.
Il menù prevedeva:
Insalata di mare tiepida con tapioca e clorofilla di prezzemolo. Polpo, cozza e gambero adagiati su “caviale” di prezzemolo: un soffio di frescura per un’estate rovente che bussa alle porte. Un carico di mare e di aromaticità davvero molto invitante.
Risotto alla pescatora con cozze, vongole, calamari e wasabi. Un classico della tradizione con in più l’appoggio della sapidità delle uova di pesce volante, in stile “tocco asiatico” (anche per cromia), e la vaga piccantezza del wasabi. Risotto cotto col fumetto di pesce, mantecato con crema di vongole, che nasconde alla vista i frutti di mare. Sorprendente ed intrigante.
Fish & chips con crema di piselli e aria di aceto. Baccalà, sgombro, merluzzo e calamari è il poker di mare perfettamente in melodia con la patata. La tendenza acida dell’aria di aceto stempera e dà la sesta marcia alla consistenza della crema sottostante. Ne vorresti ancora.
Tiramisù in Sicilia. Avete letto bene: non “di Sicilia”, ma “in Sicilia”. Gelato al caffè deliziosamente per nulla stucchevole, mousse di ricotta, pan di Spagna aromatizzato all’arancia, scorza di arancia candita e cacao amaro.
Niente mascarpone né savoiardi, dunque, per Ventimiglia: solo uno spruzzo di Sicilia ad uno dei dessert emblematici nazionali la cui paternità ancora oggi resta contesa tra Toscana, Veneto e Piemonte. Centrato in pieno.
L’occasione è stata cara per presentare in abbinamento ai piatti i vini delle Cantine Russo di Solicchiata nei pressi di Randazzo (Ct) e della sua produttrice Gina Russo (sopra in foto), distribuiti su Palermo da La Cassetta di Amos di Salvo Morello.
Mon Pit Blanc de Blancs Metodo Classico da 24 mesi sui lieviti da Carricante (80%) e Catarratto (20%). Il nome deriva dalle fessure dei crateri etnei. Freschezza, fragranza e fine perlage esaltano e accompagnano l’insalata di mare.
Rampante Etna bianco. Stesse percentuali del precedente. Un concentrato di profumi e di giovinezza. Fresco e pienamente in accordo col risotto.
Rampante Etna rosato. Da Nerello Mascalese. Fragoline, bitter, ribes rosso. Tanta freschezza e piacevolezza in bocca. Senti l’estate che scalpita. Davvero indovinato il matrimono col “Fish&Chips”.
In ultimo il Cotto di Muscamento, un mosto cotto dell’azienda Fischetti da Nerello Mascalese alberello di 30 anni. Si fa cuocere il mosto, si fa ridurre di due terzi, poi acciaio. Una sorta di gradevole sciroppo che si può anche usare in cucina e al quale sono stati aggiunti aromi come chiodo di garofano e cannella. Singolare.